In Guerra per Amore, la commedia che racconta quella assurda alleanza tra americani e mafia

Il 25 aprile è il giorno in cui ogni anno in Italia si celebra la festa della Liberazione dal Nazifascismo, avvenuta nel 1945. L’occupazione tedesca e fascista, come sapete, non terminò in un solo giorno ma si considera il 25 aprile come data simbolo, perché quel giorno del 1945 coincise con l’inizio della ritirata da parte dei soldati della Germania nazista e di quelli fascisti dalle città di Torino e di Milano, dopo che la popolazione si era ribellata e i partigiani avevano organizzato un piano coordinato per riprendere le città.

Che oggi il 25 aprile sia per tanti soltanto una data con il rosso sul calendario è un dato di fatto. Ma che, però, in Sicilia, questa non sia la data corretta è storia. Infatti, la liberazione nell’isola era avvenuta due anni prima del 1945, ovvero nella primavera-estate del ’43, quando gli alleati americani rasero al suolo molte città siciliane, seppellendo migliaia di persone rimaste sotto le macerie. 

Di questo, e non solo, parla il bellissimo film di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif. In Guerra per Amore, una storia scritta insieme a Michele Astori e Marco Martani con un cast siciliano di altissimo livello, non tradisce la natura dell’artista, da sempre incline a far riflettere senza negare la possibilità di strappare qualche risata: c’è la leggerezza da commedia, c’è una storia d’amore, la storia di un palermitano trapiantato in America che sogna di sposare la bellissima conterranea Flora (Miriam Leone), la quale, però, è promessa al figlio del braccio destro di Lucky Luciano e l’unico modo per ottenere la sua mano è quello di chiederla direttamente al padre, rimasto in Sicilia. E siccome gli Alleati stanno per sbarcare nell’isola, il protagonista decide di arruolarsi nell’esercito americano per amore.

Come detto precedentemente, però, In Guerra per Amore è molto altro: miscuglio cinematografico fra La vita è bella e Baaria, passando per Hair Forrest Gump (già ispirazione dichiarata di La mafia uccide solo d’estate), è una commedia che nasconde una visione indignata della realtà italiana passata e presente, con particolare attenzione allo strapotere mafioso in Sicilia. Dietro una lunga vicenda d’amore, infatti, Pif denuncia una verità oramai certificata ma ancora ignorata nei libri di Storia. Una verità scomoda: lo sbarco dei soldati americani in Sicilia avviene con il sostegno della mafia. Tutto questo viene raccontato in chiave comica e leggera, ma non per questo meno incisiva. A Pif il merito di aver portato al cinema questi segreti, perché se la mafia è tutt’oggi viva e presente ovunque, soprattutto dentro le Istituzioni, un motivo ci deve essere e va ricercato nel nostro passato.

Non finiremo mai di ringraziare gli “Alleati” e i Partigiani per quel 25 aprile del 1945, ma c’è poco da gioire. Perché è vero, ci hanno liberati da quel “mostro” dai mille tentacoli chiamato Nazifascismo,ma non è tutto oro quel che luccica.

Infatti, una manciata di ex boss mafiosi, che anni prima erano stati costretti ad abbandonare la Sicilia a causa della repressione antimafia attuata dal Fascismo e guidata da Cesare Mori, vennero eletti sindaci come ringraziamento per la collaborazione prestata agli americani. Dal 1943 in poi, la mafia entra in un equilibrio mondiale che le permette di prosperare, anche perché si pone in chiave anticomunista. Guarda caso, proprio nel 1943, viene fondato un nuovo partito politico, chiamato Democrazia Cristiana, per fronteggiare il PCI (Partito Comunista Italiano).

Non è stata la vittoria del Comunismo contro il Fascismo. Non ci sono stati né vincitori, né vinti. Non ci siamo realmente “liberati” da qualcosa, abbiamo soltanto cambiato padrone.

Per questo, sarebbe, forse, più opportuno chiudere i conti una volta per tutte con quel periodo storico contrassegnato da una guerra civile fra italiani di diverso colore politico, fascisti da un lato e antifascisti dall’altro, e pensare a una festa di tutti, una festa di riconciliazione nazionale che unisca tutti e che celebri la Democrazia, quelle libertà di ogni tipo che abbiamo pagato a caro prezzo.

L’Operazione Husky e il rapporto Scotten

L’alleanza fra la mafia e gli “Alleati” è appurata da moltissimi documenti. Innanzitutto, dalla relazione della Commissione Parlamentare Antimafia, presentata alla Camera dei deputati nel febbraio del 1976, in cui si sottolinea “la parte avuta nella preparazione dello sbarco dal gangster Lucky Luciano, uno dei capi riconosciuti della malavita americana di origine siciliana, il quale stava scontando una condanna a 15 anni […]”.

Lucky Luciano

Il gangster americano, una volta accettata l’idea di collaborare con le autorità governative, dovette prendere contatto con i grandi capimafia statunitensi di origine siciliana e questi a loro volta si interessarono di mettere a punto i necessari piani operativi, per far trovare un terreno favorevole agli elementi dell’esercito americano che sarebbero sbarcati clandestinamente in Sicilia per preparare all’occupazione imminente le popolazioni localiLucky Luciano venne graziato nel 1946 “per i grandi servigi resi agli States durante la guerra”.

Un altro documento che testimonia il tragico bilancio di morti dell’Operazione Husky, nome in codice dello sbarco americano in Sicilia, e del fatto che, concluse le operazioni belliche, gli americani chiesero aiuto alla mafia locale per controllare la popolazione, è il rapporto del capitano del OSS (Office of Strategic ServicesW.E. Scotten del 29 ottobre 1943 a cui non è più applicato il segreto di Stato. Il documento si intitola “The Problem of Mafia in Sicily”.

Afferma il capitano Scotten: «(…) Un fenomeno che avrà gravi implicazioni per la situazione politica attuale e futura dell’isola e del resto d’ Italia. (…) Le possibili soluzioni sono: a) un´azione diretta, stringente e immediata per controllare la mafia; b) una tregua negoziata con i capimafia; c) l´abbandono di ogni tentativo di controllare la mafia in tutta l’isola e il [nostro] ritiro in piccole enclaves strategiche, attorno alle quali costituire cordoni protettivi e al cui interno esercitare un governo militare assoluto». Si legge ancora: «La prima soluzione – il controllo della mafia – richiede un´azione fulminea e decisiva nell´arco di giorni o al massimo di settimane (…) e l´arresto simultaneo e concertato di cinque o seicento capifamiglia – senza curarsi della personalità e delle loro connessioni politiche – affinché siano deportati, senza alcuna traccia di processo, per tutta la durata della guerra (…)».

Infine, il capitano comprende che il governo d’occupazione alleato è entrato nel ciclo omertoso affermando: «Questo significa l´accettazione a un certo grado, da parte degli Alleati, del principio dell´omertà, un codice che la mafia comprende e rispetta interamente. (…) Ciò significherebbe consegnare la Sicilia per lungo tempo ai poteri criminali. I contatti da me sostenuti con la popolazione siciliana, concordano pienamente sul seguente fatto: la mafia è rinata. Il terrore della mafia sta rapidamente tornando e, secondo i miei informatori, la mafia si sta ora dotando di armi ed equipaggiamenti moderni, il problema si moltiplicherà creando difficoltà alla Polizia. La popolazione siciliana non crede che i carabinieri o gli altri corpi di polizia siano in grado di affrontare la mafia. Li ritiene corrotti, deboli e, in molti casi, in combutta con la stessa mafia. Carabinieri e Polizia ricevono individualmente una parte dei guadagni dei vari racket, ma anche intere porzioni di questi introiti. (…) Molti siciliani si lamentano del fatto, ed è la cosa più inquietante, che molti nostri interpreti di origine siciliana provengono direttamente da ambienti mafiosi statunitensi. La popolazione afferma che i nostri funzionari sono ingannati da interpreti e consiglieri corrotti, al punto che vi è il pericolo che essi diventino uno strumento inconsapevole in mano alla mafia».

Alla fine del suo rapporto, il capitano della Military Intelligence descrive il clima che si respira nell’isola negli ultimi mesi del ’43: agli occhi dei siciliani, non solo il Governo Militare Alleato non è in grado di affrontare la mafia, ma è arrivato addirittura al punto di essere manipolato. Ecco perché, al giorno d’oggi, molti siciliani confrontano il Governo Alleato con il Fascismo. Con quest’ultimo la mafia non era completamente eliminata, ma tenuta molto sotto controllo.

Così, infine, ha spiegato Pif: «Il documento Scotten non è troppo conosciuto, ma neppure così segreto. Ed è un testo che racconta con lucidità la storia della mafia. Il problema era mettersi d’accordo o combatterla, fu scelta la prima ipotesi, una cosa che ha effetti ancora oggi. Al cinema, comunque, di questo patto non si era mai parlato e spero che il tema susciti un dibattito. Quello che raccontiamo è inattaccabile. Un esempio: il governatore della Sicilia Charles Poletti, neoeletto dopo lo sbarco e responsabile degli affari civili e militari, trasferitosi a Napoli aveva come braccio destro Vito Genovese. Alcune fonti poi dicono che Vito Ciancimino aiutava lo stesso Poletti come traduttore a Palermo».